Il senso di coesione e contatto che la musica sembra far provare alle persone, può addirittura salvare diverse vite.
Abbiamo già visto nello scorso articolo (se te lo sei perso, puoi trovarlo qui) come la musica possa portare benefici sul gruppo ma la pratica musicale, essere in grado di suonare uno strumento, può in realtà avere effetti ad un livello ancora più profondo. Sia durante l’olocausto, sia in un momento più recente, quello del lockdown.
Frank Grunwald è un signore di 87 anni, potrebbe tranquillamente essere il nonno o il padre di ciascuno di noi. E proprio come i nostri nonni o i nostri genitori, Frank ha vissuto durante la seconda guerra mondiale. È stato catturato dai nazisti. Portato in due campi di concentramento, quelli di Terezin e Auschwitz. Ed è sopravvissuto.
Frank suona la fisarmonica, la prima l’ha dovuta lasciare quando le truppe tedesche sono entrate a Praga nel 1939. Ma la musica per lui non era finita lì, anzi, Frank e altre persone tenute prigioniere cantavano, suonavano o anche solo canticchiavano durante quei momenti terribili. Utilizzavano la musica per scappare dalla tristezza e dall’oppressione che quotidianamente provavano. E quindi lasciavano la mente vagare, trasportandosi in altri luoghi, altri tempi.
Frank racconta che una volta separato a Terezin e rimasto solo con suo fratello, i due cantavano Bach. “Sapevo dove ero ma la mia mente era nella musica”. Musica che lo accompagnò anche ad Auschwitz una volta separato ancora dalla famiglia. Ma Frank non fu l’unico.
A Terezin alcuni musicisti hanno creato una band, la Ghetto Swingers, per portare messaggi di libertà a tutte le persone tenute carcerate. E anche ad Auschwitz c’erano cori, uomini e donne prima orchestrali e che ora suonavano all’entrata del campo, nelle camere a gas o silenziosamente, nella loro testa. Ovunque fosse possibile. Dovunque rimanesse del senno.
Frank ricevette una seconda armonica a 12 anni, una volta tornato a casa da Auschwitz con suo padre. Solo suo padre. E da quel momento non ha più smesso.
In realtà, seppur su un altro livello, questo è un po’ quello che è successo durante il lockdown. Dolore e sofferenza totalmente diversi. Tempi totalmente diversi. Solitudine totalmente diversa. Ma la via d’uscita, quella è rimasta la stessa.
Hanno fatto il giro di tutto il mondo i video delle persone sui balconi durante la pandemia. Persone che armate di voce, chitarra, pentole, qualsiasi cosa, non importa cosa fosse, si trovavano sui balconi a cantare e suonare. Perché ancora una volta, la musica era rimasta l’unica cosa che potesse farci sentire vicini, soprattutto in tempi in cui il distanziamento sociale detta ogni comportamento.
Ascoltare musica e suonare uno strumento musicale portano quindi un aiuto nell’animo umano che prescinde tempo e spazio. Ci aiuta a sentirci vicini. Quello che più manca in queste situazioni.
Chiara Troise
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